Il vino ....questo conosciuto.



"A tutto potrò resistere fuorché alle tentazioni !" ha scritto Oscar Wilde.
E rievocare e rivivere la danza di sapori e profumi di un bicchiere di vino, è certamente tra le tentazioni di molti.

"Beviamo.
Perché attendere i lumi?
Prendi mio caro
le coppe nero dipinte: il vino
che fa dimenticare gli affanni,
lo donò ai mortali
il figlio di Semele e di Zeus.
Versa quindi, mescola uno e due
calici pieni fino all’orlo.
Una coppa spinga giù l’altra.’’

da un frammento di “ Alceo “ nella traduzione di Orazio.


La pratica della viticoltura vanta origini antichissime.Già seimila anni fa,i Sumeri simboleggiavano
con una foglia di vite l’esistenza umana e anche gli Ebrei dell’Antico Testamento, che attribuivano a Noè la piantagione della prima vigna, consideravano la vite “ uno dei beni più preziosi dell’uomo” ed esaltavano il vino che “rallegra il cuore del mortale” .

La coltivazione dell’uva è stata praticata anche in Egitto anche se come bevanda non ebbe mai la diffusione e l’importanza che ebbe invece la birra. Le scene che appaiono sulle pareti delle tombe ci mostrano che le vigne erano di solito a forma di pergolato e che la pigiatura dell’uva dopo il raccolto era eseguita con i piedi dentro grandi catini, proprio come si è fatto fino quasi ai giorni nostri . Le numerose anfore vinarie trovate nella tomba del faraone Tutankhamon presentano un’iscrizione sul tappo d’argilla dove si legge “Vino dei possedimenti di Tutankhamon”, o anche “Vino di buona qualità dei possedimenti di Aton”.

Anche nel mondo greco il vino era ritenuto un dono degli dei e tutti i miti sono concordi nell’attribuire a Dioniso, figlio immortale di Zeus, l’introduzione della coltura della vite tra gli uomini, tanto che Dioniso, il dio del vino, fu oggetto di culto non solo presso i Greci, ma anche in Etruria e quindi nel mondo romano, dove era conosciuto come Bacco .

Maggiori notizie si hanno per il mondo romano: l’uva veniva raccolta in una vasca dove si procedeva alla pigiatura e dopo travasavano il mosto in grossi doli interrati dove si completava il processo di fermentazione.Comunissimo era l’uso di esporre i contenitori finali al calore e al fumo in appositi locali oppure quello di aggiungere al vino acqua di mare o comunque salata, secondo un uso già diffuso in Grecia dove si pensava che l’acqua di mare rendesse il vino più dolce e servisse ad evitare “il mal di testa del giorno dopo” . Le anfore destinate alla vendita venivano tappate e un’iscrizione a pennello sul corpo dell’anfora o un’etichetta ricordavano l’origine del contenuto, mentre per indicare la data, si scriveva il nome dei consoli in carica quell’anno.



Sia nei conviti greci che quelli romani il vino si beveva mescolato con acqua, molto probabilmente a causa della sua altissima gradazione alcolica . Le proporzioni della mescolanza erano stabilite di volta in volta da uno dei convitati eletto dagli altri commensali alla carica di simposiarca o di magister bibendi . A Roma si usava fare brindisi bevendo alla salute vuotando la tazza esclamando: bene tibi, vivas . Nel brindisi alla donna amata era uso vuotare tanti kyathoi uno dietro l’altro quante erano le lettere che componevano il nome di lei
Così dice Marziale: “Sette calici a Giustina, a Levina sei ne bevi, quattro a Lida, cinque a Licia, a Ida tre. Col Falerno che versai numerai ogni amica, vien nessuna; dunque, o Sonno, vieni a me”.

Plinio parla, solo per Roma, di ben ottanta qualità di vino! Il più apprezzato era il Falerno, ma Orazio canta anche il Caleno e il Cecubo, prodotto presso Fondi, e Marziale l’Albano.

Se è vero che il vino esprime il grado di civilizzazione di una società, osservando la Kylix raffigurante Dioniso e la pittura murale con Bacco ai piedi del Vesuvio possiamo cogliere l’elevato livello raggiunto da Greci e Romani .







                                                                        


                                                                               Munch














Trackback: 0 - Scrivi Commento - Commenti: 0

Nessun commento: