LETTERA DI UN NATO IN VITRO

Caro Amico,
vorrei confidarti il mio tormento, non so se riuscirai a capirmi, ma voglio provarci.

Se tu potessi riandare per un attimo a quella tua misteriosa origine, se tu potessi varcare consapevolmente la soglia dell'inconscio, scopriresti ciò che, in fondo, già sai; ciò che tutto il tuo essere percepisce non per esperienza, ma per la verità del tuo principio. Scopriresti, cioè, che l'attimo in cui tu hai detto - non con le labbra ma con tutto il tuo essere - «Io sono!» era carico delle emozioni, dell'amore, dei sentimenti, del sudore e delle lacrime di due esseri che si univano. Mentre il tuo corpo prendeva forma nell'infinitesimale piccolezza di un embrione tu percepivi già sensazioni, umori e passioni di chi per l'amore di un incontro ti dava vita. Quell'attimo ti caratterizza, ti forgia, è il punto forza dal quale parte la tua esistenza e l'energia che la conserva.

Ebbene: per quanto io mi sforzi di trovare in me questa stessa memoria, questa percezione di sudore e di lacrime non ci riesco. Tutto in me si perde nel freddo vuoto di una cavità impassibile che mi ha originato, che non mi ha trasmesso nulla se non il miracolo dell'incontro di due cellule, lo scatenarsi imprevisto di un processo che è diventato vita, dna. Sì, non te l'ho mai detto, né mai ho avuto il coraggio di dirlo ad alcuno: sono nato in vitro.

Ho letto da qualche parte che l'Amore è sacramento: al di là e al di sopra di ogni credo religioso questa è una verità ancestrale. L'amore è sacramento perché è via alla vita. Di questo sacramento io non so nulla. L'amore mi ha dato vita attraverso un filtro che rende dolorosamente inaccessibile per me l'accesso alle passioni. Io non so né amare, né odiare, la via alle passioni è sbarrata per me, mi sento confinato nel freddo ambito del calcolo, perché è questo che mi ha determinato: un calcolo è all'origine della mia esistenza.

So cosa stai pensando. Penserai che voglia togliermi la vita e che per questo ti stia scrivendo. No, non è così, paradossalmente anche il gesto tragico di togliersi la vita è gesto ricco di un pathos che io non ho. Se penso alla mia fine, la penso esattamente come al mio inizio: calcolata nella fredda luce di un ospedale. Un'eutanasia senza emozioni.

Ti scrivo solo perché devo dirlo a qualcuno, devo cominciare a fare a qualcuno questa domanda, perché questo qualcuno possa poi farla ad altri e ad altri ancora e diventi per me, quel retaggio che il destino, nella mia origine, non mi ha concesso. Nessuno infatti mi ha chiesto - oh se l'avessero fatto! - nessuno mi ha chiesto se fossi contento di nascere così, se accettavo di nascere così.

Proprio questo ti chiedo, amico: saresti stato contento di nascere così? Di pensare il tuo primo istante nel mondo dentro al chiarore trasparente di una provetta e non dentro al caldo abbraccio di una carne, al pulsare intenso di un battito che percepivi non con l'udito ma con tutte le fibre del tuo essere? Saresti contento di essere nato in vitro?
Solo questo vorrei dirti. Se ti chiamassero a giudizio sull'origine della vita, solo questo ti chiedo: fatti con tutta onestà questa domanda e poi rispondi.
Grazie

Il tuo Amico nato-in-vitro.

(Da Cultura Cattolica )
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Questa lettera di una suora (Maria Gloria Riva ),anche se fosse stata scritta per far riflettere,è veramente orribile.La trovo volgare e provocatoria....mi viene la voglia di gridare.

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